James G. Ballard


Lo scrittore britannico James Graham Ballard (1930-2009) esordisce nel 1956 come autore di fantascienza, e tale rimane fino alla pubblicazione di La mostra delle atrocità. Malgrado abbia pubblicato negli anni Sessanta una tetralogia di romanzi in cui immagina che la fine della civiltà umana provenga ogni volta da uno dei quattro elementi delle cosmogonie classiche, ha espresso il meglio della propria scrittura nei racconti: è infatti nelle storie di lunghezza limitata che trova il compimento più esemplare la sua poetica dell’inner space, dello spazio interiore, come ambito di indagine letteraria in opposizione all’outer space, lo spazio esterno al sistema solare che era invece lo scenario preferito della fantascienza dell’epoca.

Al centro della sua opera c’è l’impatto del futuro sull’uomo, il lato oscuro del sense of wonder: non per nulla i suoi paesaggi alieni sono debitori, con le loro geometrie di ombre nette nella luce solare, angoli retti, forme stampate sullo sfondo orizzontale di uno scenario desolato, del surrealismo di De Chirico.

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Esercizi di stile

(Exercices de style, 1947)

Raymond Queneau

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Questo libro di Raymond Queneau è ambientato su un autobus della linea S (84) di Parigi, che oggi corre tra il Panthéon e la porta di Champerret. Il testo è composto da 99 “variazioni” che riscrivono in maniera sensibilmente diversa un medesimo, banale racconto, questo:

Un giorno verso mezzogiorno dalle parti del Parc Monceau, sulla piattaforma posteriore di un autobus quasi al completo della linea S (oggi la 84) mi sono accorto di una persona dal collo molto lungo che portava un cappello floscio cinto da una corda intrecciata al posto del nastro. Questo individuo all’improvviso si è rivolto al suo vicino, sostenendo che faceva apposta a pestargli i piedi ogni volta che salivano o scendevano dei passeggeri. Peraltro ha abbandonato rapidamente la discussione per gettarsi su un posto diventato libero. Due ore più tardi, l’ho rivisto davanti alla stazione Saint-Lazare in gran conversazione con un amico che gli consigliava di diminuire la sciancratura del suo soprabito facendosi rialzare il bottone superiore da qualche sarto competente.

Tutto qui. Data una premessa così ristretta, come è potuto nascere un libro così divertente? Michel Leyris racconta in un’intervista di essere andato durante gli anni Trenta a ascoltare L’arte della Fuga di J.S. Bach alla sala da concerti Pleyel; una novità quasi assoluta, dato che la prima esecuzione pubblica della storia è quella del 26 giugno 1927 alla Thomaskirche di Lipsia (Die Kunst der Fuge è stata ritenuta per quasi due secoli un’opera puramente teorica). Leyris e Queneau fantasticano sulla possibilità di applicarne il principio della Die Kunst anche alla letteratura: “variazioni che proliferano pressoché all’infinito attorno a un tema assai scarno”.

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Raymond Queneau


Inizialmente vicino ai surrealisti, Raymond Queneau (1903-1976) recuperò in chiave sperimentale generi tradizionali.

Compì gli studi liceali nella sua città, quelli universitari di filosofia alla Sorbona, dove conseguì la laurea; fu poi impiegato di banca e rappresentante di commercio. Dal 1924 al 1929 fu vicino ai surrealisti, dai quali si distaccò per dissidi con André Breton. La ricchezza degli interessi mentali lo portò presto a superare la fase surrealistica in una direzione più confacente alla sua personalità. Fu assiduo collaboratore delle maggiori riviste letterarie, tra le quali la Nouvelle Revue Française e Les temps modernes. Negli anni Trenta aderì al Cercle communiste démocratique di B. Souvarine e fu allievo di A. Kojève (del quale curò l’Introduction à la lecture de Hegel, 1947), A. Koyré e H.-Ch. Puech; la riflessione sulla filosofia della storia, sulle religioni, sul pensiero orientale, testimoniata dai suoi diari (in parte pubbl. in Journal 1939-1940, post., 1986), è alla base di gran parte della sua opera. Nel 1938 entrò alle edizioni Gallimard, per le quali diresse dal 1954 l’Encyclopédie de la Pléiade; membro dal 1950 del Collège de Pataphysique, nel 1960 fu tra i fondatori dell’OULIPO.

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Una pinta d’inchiostro irlandese

(At Swim-Two-Birds, 1939)

Flann O’Brien

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Lo spettacolo teatrale tratto dal romanzo, regia di Niall Henry (2010)

At Swim-Two-Birds è il primo romanzo di Flann O’Brien (1911-1966) interamente composto con personaggi tratti da altri autori: fu decisamente un insuccesso commerciale, ma rappresenta un autentico prototipo di meta-fiction. I suoi protagonisti che si ribellano alla volontà dell’autore non possono non ricordare le opere dell’altro grande irlandese suo contemporaneo, Samuel Beckett, che infatti si annovera tra coloro che apprezzarono l’opera.

L’idea che un libro dovesse avere un solo inizio e una sola fine, non mi convinceva. Un buon libro poteva avere tre inizi completamente diversi, collegati tra di loro soltanto nella prescienza dell’autore, e finire, se necessario, in trecento maniere diverse.

Già nel primo paragrafo il protagonista senza nome e narratore che racconta in prima persona, mette in chiaro che non si tratta di un romanzo come tutti gli altri, e propone tre brevi incipit molto differenti uno dall’altro. Il narratore è uno studente di letteratura inglese che vive in casa con lo zio, il quale gli rimprovera la mancanza di applicazione. Lui in realtà è interessato alla scrittura; sottopone al giudizio di un amico una breve parodia scritta nello stile delle leggende irlandesi, che racconta di Finn McCool, cioè Fionn Mac Cumhaill, invincibile eroe della mitologia, che non a caso appare anche in più di un passaggio del Finnegan’s Wake di Joyce.

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