Au zénith

(2009)

Dương Thu Hương

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Ho Chi Minh

Au zénith è il capolavoro della scrittrice vietnamita Dương Thu Hương, naturalizzata francese: un romanzo che ha richiesto oltre dieci anni di lavoro, in cui convergono il suo impegno politico e il suo talento letterario. Il tema principale sono gli ultimi anni di vita di Ho Chi Minh, la sua marginalizzazione all’interno del blocco di potere nordvietnamita, le sue riflessioni sul significato della propria vita.

Nel 1953, il Presidente — come lo chiama l’autrice — si innamora perdutamente, a più di sessant’anni, di Xuân, una giovane donna con la quale mette su famiglia e si stabilisce a Hanoi, non appena la capitale viene liberata. Ma quando il padre della nazione e vuole ufficializzare l’unione, i suo ministri temono che questa relazione privata lo trascini giù dal piedistallo politico sul quale l’ha posto la nazione, e loro con lui, compromettendo la guerra di liberazione.

 Il Presidente cede, credendo di piegarsi alla ragione di Stato. Da quel giorno la sua vita viene stravolta. La sua giovane compagna viene assassinata, i suoi figli mandati da parenti e il potere effettivo gli sfugge di mano: nascondendosi dietro la sua figura, i suoi ex compagni di lotta politica costruiscono un regime le cui fondamenta sono lontane dagli ideali della loro comune giovinezza.

Per dare piena espressione a questo dramma intimo e politico, l’autrice mette in atto una costruzione romanzesca mozzafiato, giustapponendo quattro punti di vista narrativi.

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Antoine Volodine e il post-esotismo


Il caso dello scrittore francese Antoine Volodine (1950- ) e del post-esotismo, la corrente letteraria da lui fondata, è tra i più singolari nel panorama postmoderno. Sulla scia di Fernando Pessoa, ma solo fino a un certo punto, l’autore francese di origine russa ha creato una autentica selva di eteronimi, riassunti nel romanzo Scrittori (2010): nomi e biografie inventate, come in La letteratura nazista in America di Roberto Bolaño, benché quattro di questi “scrittori” inventati risultino a loro volta autori a tutti gli effetti, con tanto di bibliografia pubblicata in Francia e tradotta anche all’estero. Il principale di questi eteronimi «in guerra contro l’universo capitalista e le sue innumerevoli ignominie» è Antoine Volodine stesso, che ha al suo attivo oltre venti titoli tra il 1985 e il 2023; le pubblicazioni a suo nome si intersecano con una serie di titoli apparsi sotto altri tre eteronimi: Elli Kronauer (cinque titoli apparsi in due anni, tra il ’99 e il 2001), Manuela Draeger (quattordici titoli, ancora “in attività”), Lutz Bassmann con cinque titoli e, più recente di tutti, Infernus Johannes con un titolo: in totale, quasi 50 pubblicazioni in 35 anni, tutte ascrivibili a Volodine stesso.

Finora sono stati tradotti in Italia sei titoli con il nome Volodine e uno come Manuela Draeger.

Il narratore tenta di scomparire. Si nasconde, delega la propria funzione e la propria voce a uomini di paglia, a eteronimi che farà esistere pubblicamente in sua vece. Uno scrittore di paglia firma i romånça, un narratore di paglia orchestra la finzione narrativa, integrandosi al suo interno.

Antoine Volodine, Scrittori
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Lisbona ultima frontiera

Lisbonne dernière marge (1990)

Antoine Volodine

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La narrazione ha inizio a Lisbona, alla fine del XX secolo. Kurt Wellenkind, agente del Sicherheitsgruppe tedesco, si incontra di nascosto con Ingrid Vogel, membro di un’organizzazione terrorista di sinistra estrema. Malgrado appartengano a gruppi contrapposti, i due sono diventanti amanti.

La lotta armata è sul punto di essere definitivamente sconfitta, la polizia è sulle tracce di Ingrid; Kurt l’ha raggiunta a Lisbona per consegnarle i documenti di una nuova identità, Waltraud Stoll, e un biglietto su una nave olandese in partenza per l’Indonesia. Non si vedranno per un tempo indefinito, forse si perderanno, ma è l’unico modo di salvare Ingrid dall’arresto.

La donna però offre resistenza, non vorrebbe partire anche se comprende che il tentativo di nascondersi in Portogallo fallirebbe. Ha deciso di scrivere un libro, un romanzo fantastico per raccontare in maniera criptata la propria esperienza:

Dei testi criptati, un intreccio, una storia in cui tutti i colpi di scena, tutti i messaggi saranno in codice. […] un caos oscuro, studiato al millimetro. Nessuno riuscirà a raccapezzarcisi, tranne tu, mio amato mastino. Nessuno sospetterà che abbia raccontato una storia vera della nostra epoca, capito?

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Trilogia degli Illuminati

(The Illuminatus! Trilogy, 1975)

Robert Anton Wilson e Robert Shea

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«Riempiono i loro libri di parole oscene, sostenendo che si tratta di realismo», gridò sorridente Jim all’assemblea del KCUF. «Non è la mia idea di realismo. Non conosco nessuno che parli in questo linguaggio da fogna che chiamano realismo. E descrivono ogni possibile perversione, atti contro natura così infamanti che non sporcherei le orecchie di questo pubblico nemmeno citando i termini clinici. Alcuni addirittura glorificano i criminali e gli anarchici. Mi piacerebbe vedere uno di questi teppisti venire da me, guardarmi negli occhi e dire: “Non l’ho fatto per soldi. Stavo sinceramente cercando di raccontare una storia buona, onesta, che insegnasse qualche valore alla gente.” Non potrebbero dirlo. La bugia gli si conficcherebbe in gola. Chi può dubitare da dove prendono loro ordini? A quale persona in questo pubblico deve essere detto quale gruppo è dietro questa fogna traboccante di sudiciume e sudiciume?»

A confronto di questa lunga, incredibile opera degli scrittori statunitensi Robert Anton Wilson (1932-2007) e Robert Shea (1932-1994), romanzi come quelli scritti da Thomas Pynchon o Il pendolo di Foucault di Umberto Eco sembrano inni alla razionalità. Per centinaia di pagine, il romanzo aggroviglia in un medesimo, colossale intreccio tutte le paranoie complottiste che attraversano gli Usa dall’assassinio di Kennedy fino a metà del decennio successivo, tirando dentro veramente tutte le paure della destra americana in una sincronicità davvero singolare: gesuiti, nazismo, il Necronomicon di H.P. Lovecraft, comunismo, ebraismo internazionale, yoga, i Protocolli dei Savi di Sion, buddismo, Chiesa di Roma, massoneria, mescalina, Rivoluzione francese, lettura del pensiero, eresia gnostica, manicheismo e molto altro. Solo per vicissitudini editoriali (una richiesta di Dell Publishing per ragioni commerciali) la definiamo “trilogia”, in quanto uscita nel 1975 negli Usa in tre volumi distinti: la prima edizione in volume singolo è del 1984; in realtà l’opera è articolata su cinque “libri” più un’appendice, che risultano così suddivisi nei tre volumi:

Titolo originaleAnnoTitolo italianoAnnocontenuto
The eye in the pyramid1975L’occhio nella piramide1995Libro I (Verwirrung), Libro II (Zweitracht)
The golden apple1975La mela d’oro1997Libro III (Unordnung), Libro IV (parte) “Beamtenherrschaft)
Leviathan1975Il Leviatano2000Libro IV (parte), Libro V (Grummet), Appendice

Nel testo, i titoli dei cinque libri, che corrispondono ai cinque stadi di sviluppo delle culture non dominate dagli Illuminati, sono tradotti così: Verwirrung = caos, Zweitracht = discordia, Unordnung = confusione, Beamtenherrschaft = burocrazia e Grummet = conseguenze.

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Curzio Malaparte

Curzio Malaparte, pseudonimo di Curt Erich Suckert (1898-1957) ha attraversato tutta la storia del Novecento europeo, come combattente volontario nella Prima guerra mondiale, come reporter di guerra nella Seconda, e come scrittore e giornalista dal 1919 e fino alla morte.

Aderì al fascismo fino dagli esordi, convinto della necessità di rigenerare l’Italia con una “rivoluzione nazionale”, e come giornalista ne rappresentò l’anima più radicale, il cosiddetto “fascismo di sinistra”. Fu tra i promotori della corrente letteraria Strapaese, che si rifaceva a elementi della tradizione contadina, populista.

A causa della sua attitudine critica, viene espulso dal PNF nel 1933, incarcerato e inviato al confino nell’isola di Lipari. In realtà poté godere di condizioni privilegiate, anche grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano.

L’intera opera letteraria di Malaparte rimane «a metà tra scandalo e prosa d’arte ma sempre stabilmente all’interno della mitologia fascista»[i]. Definì se stesso “l’Arcitaliano”, intendendo con questa definizione un concentrato dei pregi e dei difetti degli italiani.

Le sue opere più conosciute sono Viva Caporetto! (1921) e quella che definì “trilogia”, cioè Kaputt (1944), La pelle (1949) e l’incompiuto Il ballo al Kremlino (postumo, 1971).

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Abbacinante

(Orbitor, 1996-2007)

Mircea Cărtărescu

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Tentare un’analisi di questa mastodontica opera di Mircea Cărtărescu è una sfida complessa e affascinante, proprio per la stessa natura dell’opera: oltre millecinquecento pagine nell’edizione italiana Voland, testo originale scritto a mano, per accumulazione progressiva, senza un progetto iniziale e senza revisione in corso d’opera, è strutturato come labirinto di ricordi personali, ricostruzioni di fatti reali e di trasfigurazione fantastica, intorno a una serie compatta e limitata di immagini-simbolo che assumono funzione di mitologia letteraria.

La struttura di Abbacinante è quindi un viaggio progressivo dalla visione alla realtà, anche la struttura a farfalla costituita dai tre volumi è al servizio di tutto questo. È però importante ricordare che non è un libro pensato a tavolino, se non nei suoi tratti generali. So che sembra incredibile, ma per fortuna ho i taccuini per provarlo: ho scritto tutti e tre i volumi a mano, senza editing e senza fare più schemi in corso d’opera, insomma quella che si trova nei libri è sostanzialmente la prima bozza, a parte la revisione e qualche taglio occasionale. Si tratta del frutto di un flusso ispirativo continuo, lento ma costante, quasi medianico, a metà tra il fare poesia in prosa e la scrittura automatica. Ogni mattina rileggevo l’ultima pagina fatta e procedevo, lentamente, seguendo l’onda e sforzandomi soprattutto di tenere legati i fatti e le chiavi simboliche.

Intervista di Vanni Santoni, Berlino 2015
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