(Vermilion Sands, 1971)
James G. Ballard
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Vermilion Sands è una immaginaria località di riviera che si trova da qualche parte “tra l’Arizona e la spiaggia di Ipanema”, come scrive Ballard stesso nella prefazione all’edizione in volume 1971, “ma in questi ultimi anni mi sono compiaciuto di vederla spuntare un po’ dovunque, e soprattutto in qualche settore della città lineare, lunga cinquemila chilometri, che si stende da Gibilterra alla spiaggia di Glyfada lungo le coste settentrionali del Mediterraneo.” Vermilion Sands è la località utopica ideale di un’umanità futura che Ballard immagina sdraiata al sole, una società del tempo libero perché affrancata dalla schiavitù del lavoro imposta della modernità. È questa la ragione per cui le arti hanno tanta importanza nella trama dei racconti.
I nove racconti di Vermilion Sands sono storie di grande bellezza, il tentativo di creare un mito letterario intorno a questa immaginaria città di un immaginario futuro, tutt’altro che distopico, nel quale le arti, da sempre figlie di un dio minore nella letteratura di fantascienza, hanno un’importanza fondamentale. Le storie sono pubblicate in originale in un arco di tempo che va dal 1956 (Prima Belladonna) al 1970 (Addio al vento), ma possiedono un nucleo estetico unitario molto compatto. La struttura dei singoli racconti si ripete all’interno di uno schema preciso: il narratore/punto-di-vista è un uomo, di solito attirato a Vermilion Sands dal milieu artistico che gravita intorno a questa città artificiale; la protagonista invece è sempre una donna, una figura femminile dalla psicologia inaccessibile (riflesso narrativo dal peculiare rapporto dell’autore, rimasto vedovo ancora giovane, con le donne, che ama come se fossero esseri alieni).
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