I segreti di Vermilion Sands

(Vermilion Sands, 1971)

James G. Ballard

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La copertina della prima edizione originale

Vermilion Sands è una immaginaria località di riviera che si trova da qualche parte “tra l’Arizona e la spiaggia di Ipanema”, come scrive Ballard stesso nella prefazione all’edizione in volume 1971, “ma in questi ultimi anni mi sono compiaciuto di vederla spuntare un po’ dovunque, e soprattutto in qualche settore della città lineare, lunga cinquemila chilometri, che si stende da Gibilterra alla spiaggia di Glyfada lungo le coste settentrionali del Mediterraneo.” Vermilion Sands è la località utopica ideale di un’umanità futura che Ballard immagina sdraiata al sole, una società del tempo libero perché affrancata dalla schiavitù del lavoro imposta della modernità. È questa la ragione per cui le arti hanno tanta importanza nella trama dei racconti.

I nove racconti di Vermilion Sands sono storie di grande bellezza, il tentativo di creare un mito letterario intorno a questa immaginaria città di un immaginario futuro, tutt’altro che distopico, nel quale le arti, da sempre figlie di un dio minore nella letteratura di fantascienza, hanno un’importanza fondamentale. Le storie sono pubblicate in originale in un arco di tempo che va dal 1956 (Prima Belladonna) al 1970 (Addio al vento), ma possiedono un nucleo estetico unitario molto compatto. La struttura dei singoli racconti si ripete all’interno di uno schema preciso: il narratore/punto-di-vista è un uomo, di solito attirato a Vermilion Sands dal milieu artistico che gravita intorno a questa città artificiale; la protagonista invece è sempre una donna, una figura femminile dalla psicologia inaccessibile (riflesso narrativo dal peculiare rapporto dell’autore, rimasto vedovo ancora giovane, con le donne, che ama come se fossero esseri alieni).

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Le perizie

(The recognitions, 1955)

William Gaddis

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Hyeronimus Bosch, “I sette peccati capitali”, Madrid, Museo del Prado

Mentre si trova in Spagna nel 1948, già impegnato nella pluriennale stesura del suo romanzo, Gaddis legge in Il ramo d’oro di James Frazer che Goethe trovò l’ispirazione per il suo Faust (una citazione dal quale apre la prima parte di Le perizie) in quello che può essere definito il primo “romanzo” cristiano della storia: quel “nuovo testamento gnostico” che è il Pseudepigrapha Clementis del quale esiste una traduzione latina del III secolo e.v., le Recognitiones pseudoclementinæ, cioè “perizie clementine” o pseudo-clementine. Ha trovato il titolo che vuole per il suo vasto, complesso, innovativo romanzo pieno di allusioni allo gnosticismo.

Il protagonista principale di questo testo sterminato (1650 pagine nell’edizione tascabile italiana) è Wyatt Gwyon, figlio di un pastore calvinista del New England. Poco dopo la fine della Grande Guerra, sua madre Camilla è morta durante un viaggio turistico in Spagna con il marito, per un’appendicite curata male dal sedicente medico Frank Sinisterra, un falsario in fuga dagli Usa.

Destinato a seguire la vocazione del padre, ma dotato di un talento artistico che gli procura un oscuro senso di colpa, a causa dei rimproveri della zia che si è assunta il compito della sua educazione, Wyatt diventa consapevole del proprio talento quando durante una convalescenza ricopia un dipinto di Hyeronimus Bosch, Sette peccati capitali, che il padre ha trafugato durante il disastroso viaggio in Spagna. Ossessionato da preoccupazioni artistiche, e senza eccessivo biasimo del padre che dopo la morte della moglie è torturato da ripensamenti mistici, Wyatt si reca in Europa per studiare pittura; per pagare il viaggio ha sostituito la copia al dipinto, rivenduto per una cifra irrisoria al mercante d’arte Recktall Brown. Offeso dall’allontanamento del figlio, il pastore sprofonda in segreti studi sul paganesimo.

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La carta e il territorio

(La carte et le territoire, 2010)

Michel Houellebecq

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Particolare di una cartina Michelin dell’Algeria

Una delle caratteristiche della scrittura di Michel Houellebecq (1956 – ), forse il più discusso tra gli autori francesi contemporanei, è il suo radicamento nella geografia e nella cronaca. La carta e il territorio è una lunga riflessione sull’arte e sulla vita moderne. Il protagonista è un tipico personaggio alla Houellebecq, ai quali l’autore ci ha abituato fino da Estensione del dominio della lotta: un solitario, un misantropo che si tiene in disparte dal flusso della vita. Jed Martin è un artista contemporaneo, un pittore francese di inizio terzo millennio. Figlio unico di un dirigente d’industria e nipote di un fotografo, al tempo dell’università (ha frequentato Belle Arti) si appassiona di fotografia industriale; recupera la vecchia fotocamera del nonno e realizza una lunga serie di immagini d’oggetti di uso comune.

Da adulto, durante un viaggio in autostrada si incanta a osservare una cartina stradale Michelin trovata in un autogrill: ammira la varietà di colori, le linee, le forme, e all’improvviso decide di imprimere una svolta ai propri interessi. Da questo momento, forte dell’esperienza acquisita con la fotografia di design, Jed Martin si dà alla riproduzione fotografica digitale di carte Michelin. Un giorno riesce a esporre una foto in una mostra collettiva, e in questo modo fa conoscenza della giovane russa Olga; più tardi a cena lei gli confida di lavorare per la Michelin e gli propone di lasciarsi sponsorizzare. La sera stessa Jed e Olga finiscono a letto e iniziano una relazione, una delle pochissime esperienze di coppia nella vita solitaria di lui.

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Storia abbreviata della letteratura portatile

(Historia abreviada de la literatura portátil, 1985)

Enrique Vila-Matas

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Collocare i libri di Enrique Vila-Matas in una categoria specifica è un compito impossibile. I suoi “romanzi” sfidano la categorizzazione, in quanto sono un fitto arazzo di esperienze personali, riferimenti bibliografici, citazioni nascoste e implicite, ammiccamenti al lettore informato e una patina di ironia e umorismo finissimo. L’unica definizione che oserei offrire è quella di “giocattoli letterari”.

da Anika entre libros

Lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas (1948 – ) costruisce questo breve romanzo, che gli ha dato visibilità internazionale, come un unico apocrifo, che già dal titolo si maschera da saggio critico. La “letteratura portatile”, il cui contenuto non viene mai spiegato nel concreto, è quella vagheggiata da una setta segreta di scrittori, filosofi e artisti intorno agli anni Venti del Novecento. La società viene fondata nel 1924 a Port Actif in Niger,da un’idea di Francis Picabia, e sciolta tre anni dopo a Siviglia, su impulso del satanista Aleister Crowley.

I suoi adepti, che si chiamano tra loro shandys (dal protagonista di Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, di Laurance Sterne), si ritrovano in una serie di appuntamenti artistico-conviviali itineranti, in alcune città europee.

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La vita. Istruzioni per l’uso

(1978)

Georges Perec

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Schema del palazzo dove è ambientato il romanzo, con gli occupanti dei locali (da Wikipedia in francese)

Per sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, Perec come il suo protagonista ha bisogno d’imporsi delle regole rigorose (anche se queste regole sono a loro volta arbitrarie). Ma il miracolo è che questa poetica che si direbbe artificiosa e meccanica dà come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribili.

Italo Calvino, Lezioni americane

L’esposizione dei motivi narrativi e della struttura serve appena a dare un’idea superficiale del modo in cui il romanzo è pianificato; in realtà questo iper-romanzo è attraversato da motivi letterari, rispecchiamenti, giochi linguistici, coincidenze, simboli che lo rendono un meta-testo difficile da decifrare completamente.

La vita. Istruzioni per l’uso è ambientato in uno stabile della zona residenziale di Parigi, 11 rue Simon-Crubellier, XVII arrondissement: una via che se esistesse taglierebbe a metà il rettangolo delimitato da rue de Chazelles, rue Léon Jost, rue Méderic e rue Jadin. Secondo alcuni, l’autore si sarebbe ispirato nella descrizione dell’edificio al palazzo in cui abitava insieme a amici al n. 16 di rue Charlemagne. Si tratta di un palazzo di dieci piani con dieci vani per ogni piano; nelle parole dell’autore: «Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata […] in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell’edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili». Il romanzo inizia — e finisce, dato che tutte le storie contenute sono divagazioni a partire da questo singolo momento X — qualche minuto prima delle 20 del giorno 23 giugno 1975, cioè pochi attimi dopo il decesso del protagonista nel suo appartamento. Ognuno dei 99 capitoli è ambientata in una diversa stanza, brevemente descritta nello stato in cui si trova nel momento X, e racconta un frammento della vita di chi ci ha vissuto. Siccome le esistenze di molti degli abitanti sono interlacciate, a poco a poco emerge un gigantesco affresco che ruota intorno a un plot affascinante.

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