Esercizi di stile

(Exercices de style, 1947)

Raymond Queneau

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Questo libro di Raymond Queneau è ambientato su un autobus della linea S (84) di Parigi, che oggi corre tra il Panthéon e la porta di Champerret. Il testo è composto da 99 “variazioni” che riscrivono in maniera sensibilmente diversa un medesimo, banale racconto, questo:

Un giorno verso mezzogiorno dalle parti del Parc Monceau, sulla piattaforma posteriore di un autobus quasi al completo della linea S (oggi la 84) mi sono accorto di una persona dal collo molto lungo che portava un cappello floscio cinto da una corda intrecciata al posto del nastro. Questo individuo all’improvviso si è rivolto al suo vicino, sostenendo che faceva apposta a pestargli i piedi ogni volta che salivano o scendevano dei passeggeri. Peraltro ha abbandonato rapidamente la discussione per gettarsi su un posto diventato libero. Due ore più tardi, l’ho rivisto davanti alla stazione Saint-Lazare in gran conversazione con un amico che gli consigliava di diminuire la sciancratura del suo soprabito facendosi rialzare il bottone superiore da qualche sarto competente.

Tutto qui. Data una premessa così ristretta, come è potuto nascere un libro così divertente? Michel Leyris racconta in un’intervista di essere andato durante gli anni Trenta a ascoltare L’arte della Fuga di J.S. Bach alla sala da concerti Pleyel; una novità quasi assoluta, dato che la prima esecuzione pubblica della storia è quella del 26 giugno 1927 alla Thomaskirche di Lipsia (Die Kunst der Fuge è stata ritenuta per quasi due secoli un’opera puramente teorica). Leyris e Queneau fantasticano sulla possibilità di applicarne il principio della Die Kunst anche alla letteratura: “variazioni che proliferano pressoché all’infinito attorno a un tema assai scarno”.

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Raymond Queneau


Inizialmente vicino ai surrealisti, Raymond Queneau (1903-1976) recuperò in chiave sperimentale generi tradizionali.

Compì gli studi liceali nella sua città, quelli universitari di filosofia alla Sorbona, dove conseguì la laurea; fu poi impiegato di banca e rappresentante di commercio. Dal 1924 al 1929 fu vicino ai surrealisti, dai quali si distaccò per dissidi con André Breton. La ricchezza degli interessi mentali lo portò presto a superare la fase surrealistica in una direzione più confacente alla sua personalità. Fu assiduo collaboratore delle maggiori riviste letterarie, tra le quali la Nouvelle Revue Française e Les temps modernes. Negli anni Trenta aderì al Cercle communiste démocratique di B. Souvarine e fu allievo di A. Kojève (del quale curò l’Introduction à la lecture de Hegel, 1947), A. Koyré e H.-Ch. Puech; la riflessione sulla filosofia della storia, sulle religioni, sul pensiero orientale, testimoniata dai suoi diari (in parte pubbl. in Journal 1939-1940, post., 1986), è alla base di gran parte della sua opera. Nel 1938 entrò alle edizioni Gallimard, per le quali diresse dal 1954 l’Encyclopédie de la Pléiade; membro dal 1950 del Collège de Pataphysique, nel 1960 fu tra i fondatori dell’OULIPO.

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Georges Perec


Nato nel 1936 a Parigi da genitori polacchi di origine ebraica (il cognome del padre è Peretz), dopo la morte dei genitori nella Seconda guerra mondiale Georges Perec (1936-1982) viene adottato dalla zia. Dopo gli studi e il servizio militare, lavora al CNRS (Centre national de la recherche scientifique) entra nell’OuLiPOo, Ouvroir de Littérature Potentielle, il gruppo di scrittori e di matematici francesi che lavora sulla creatività letteraria.

La sua opera più conosciuta e tradotta all’estero è La vie. Mode d’emploi (1978). L’interesse di Perec per la descrizione della vita quotidiana ha un primo nucleo ideale in quello che egli stesso definì “esperimento etno-antropologico”: seduto al tavolino di un bristrot di Place Saint-Sulpice a Parigi, osserva e annota per tre giorni consecutivi tutto ciò che gli accade intorno. Il risultato è il libro Tentativo di esaurimento di un luogo parigino (Tentative d’épuisement d’un lieu parisien, 1975), palestra fondamentale per il suo romanzo più famoso, nel quale descrive metodicamente la vita degli abitanti di una casa parigina, fino a comporre il mosaico di una storia complessa e prolungata nel tempo.

Perec muore di tumore ai polmoni nel 1982, è sepolto nel cimitero parigino di Pére-Lachaise.

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La vita. Istruzioni per l’uso

(1978)

Georges Perec

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Schema del palazzo dove è ambientato il romanzo, con gli occupanti dei locali (da Wikipedia in francese)

Per sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, Perec come il suo protagonista ha bisogno d’imporsi delle regole rigorose (anche se queste regole sono a loro volta arbitrarie). Ma il miracolo è che questa poetica che si direbbe artificiosa e meccanica dà come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribili.

Italo Calvino, Lezioni americane

L’esposizione dei motivi narrativi e della struttura serve appena a dare un’idea superficiale del modo in cui il romanzo è pianificato; in realtà questo iper-romanzo è attraversato da motivi letterari, rispecchiamenti, giochi linguistici, coincidenze, simboli che lo rendono un meta-testo difficile da decifrare completamente.

La vita. Istruzioni per l’uso è ambientato in uno stabile della zona residenziale di Parigi, 11 rue Simon-Crubellier, XVII arrondissement: una via che se esistesse taglierebbe a metà il rettangolo delimitato da rue de Chazelles, rue Léon Jost, rue Méderic e rue Jadin. Secondo alcuni, l’autore si sarebbe ispirato nella descrizione dell’edificio al palazzo in cui abitava insieme a amici al n. 16 di rue Charlemagne. Si tratta di un palazzo di dieci piani con dieci vani per ogni piano; nelle parole dell’autore: «Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata […] in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell’edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili». Il romanzo inizia — e finisce, dato che tutte le storie contenute sono divagazioni a partire da questo singolo momento X — qualche minuto prima delle 20 del giorno 23 giugno 1975, cioè pochi attimi dopo il decesso del protagonista nel suo appartamento. Ognuno dei 99 capitoli è ambientata in una diversa stanza, brevemente descritta nello stato in cui si trova nel momento X, e racconta un frammento della vita di chi ci ha vissuto. Siccome le esistenze di molti degli abitanti sono interlacciate, a poco a poco emerge un gigantesco affresco che ruota intorno a un plot affascinante.

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Italo Calvino

Negli anni Sessanta, quando già è famoso e con una quantità di pubblicazioni al suo attivo, Italo Calvino (1923-1985) dà una sterzata decisiva alla propria opera. Malgrado non sia mai stato vicino al realismo, si allontana ulteriormente dallo storicismo sotto l’influsso di letture epistemologiche, tra cui Popper e Wittgenstein.

Frequenta con assiduità i territori della linguistica, della semiotica, dell’antropologia strutturale; cerca sempre più nella dimensione del paradosso, dell’immaginario logico, della precisione allucinata una via per sfuggire al cicaleccio anodino della comunicazione massificata. […] Costruisce testi oltremodo stratificati, si nasconde dietro uno schermo plurimo di narratori fittizi e di dense metafore, fino a rendere quasi irriconoscibili le tracce del proprio «io», come se aspirasse a una sorta di impersonalità, di anonimato.

Claudio Milanini, Introduzione a Romanzi e Racconti, Meridiani Mondadori

Nell’estate 1967 Calvino si trasferisce con la famiglia a Parigi, dove abiterà per tredici anni. Benché conduca una vita lontano dal mondo culturale, entra in relazione con diversi membri dell’OuLiPo come Georges Perec o  Raymond Queneau, del quale traduce in italiano I fiori blu. Questa frequentazione, insieme all’interesse per la scienza e per lo strutturalismo e all’ars combinatoria, su cui tiene alcune lezioni all’università Roland Barthes, è la principale influenza del secondo periodo della sua opera, tra i più compatti e illuminanti esempi di postmoderno della letteratura mondiale.

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