Il giuoco delle perle di vetro

(Das Glasperlenspiel, 1943)

Hermann Hesse

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Paolo Ambrosio, “Il gioco delle perle di vetro” (1985)

Lo scrittore tedesco Hermann Hesse (1877-1961) iniziò a scrivere il suo ultimo romanzo nel 1931, con l’intento di realizzare il capolavoro della propria vita; l’opera fu pubblicata nel 1943 a Zurigo, tredici anni dopo il precedente Narciso e Boccadoro, mentre l’autore viveva in Canton Ticino, lontano dal clima persecutorio contro gli intellettuali che avvelenava la Germania nazista. Non è un caso che la Castalia, l’immaginario paese dove il romanzo è ambientato, richiami la Svizzera. Tre anni più tardi, nel 1946, Hesse vinse il premio Nobel per la Letteratura.

Il romanzo è ambientato probabilmente nel XXII secolo nella Castalia, una “provincia pedagogica” centroeuropea riservata a quanti vogliono dedicarsi alla vita puramente speculativa. Ci si riferisce alla nostra epoca, lontana secoli nel passato, come all’era feuilletonistica, “epoca borghese e favorevole a un largo individualismo”. La Castalia è governata da un severo ordine intellettuale retto da una regola quasi monastica, devoto alla conduzione e allo sviluppo di una attività chiamata “gioco delle perle di vetro”. La complessità del gioco, legato allo sviluppo delle facoltà mentali, richiede che i discepoli che si accostano seguano una vasta serie di insegnamenti in discipline diverse, dalla matematica alla storia, dalla musica alle scienze esatte, dalle arti alla filosofia, per riscattare la conoscenza dalla “prostituzione” di arte e scienza nell’era feuilletonistica.

La meccanica del gioco delle perle di vetro non viene mai descritta nei particolari, ma si intuisce che è strettamente connessa con il tentativo di stabilire una sintesi tra arte e scienza, le principali manifestazioni della civiltà umana: i giocatori infatti sono chiamati a stabilire relazioni tra argomenti comunemente ritenuti molto distanti.

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Female Man

(The Female Man, 1975)

Joanna Russ

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La scrittrice statunitense di fantascienza Joanna Russ (1937-2011) pubblica a metà anni Settanta, un decennio che si può definire cruciale per la science-fiction femminista, questo romanzo che sfrutta uno dei tópoi più interessanti del genere: gli universi paralleli, la cui prima teorizzazione scientifica, la MWI (Many Worlds Interpretation) risale al 1957 per opera del fisico Hugh Everett III. Female Man è probabilmente tra le opere che ebbero maggiore influenza sul movimento femminista, non soltanto tra i lettori di fantascienza.

La storia è ambientata nel 1969 e intreccia le vicende di quattro protagoniste:

  • Joanna, che vive nel nostro mondo ed ha caratteristiche apertamente autobiografiche; è «attiva, […] veloce e scattante, non depressa, siede con la schiena dritta come un righello»; Joanna riconosce che il suo stile di narrazione è tipicamente femminile: «Non possiedo struttura… i miei pensieri escono senza forma come il fluido mestruale, è tutto molto femminile, profondo e pieno di essenza, è molto primitivo e pieno di “e”, si chiama “frasi sconnesse”»; a un certo punto definisce sé stessa “uomo femmina” perché vede nella perdita delle proprie specificità femminili l’unica via di affermazione in una società creata a misura del maschio;
  • Janet Evason, cittadina del pianeta Whileaway che in realtà è la Terra mille anni nel futuro da oggi, abitata solo da esseri di sesso femminile perché i maschi sono stati sterminati nove secoli prima da una pestilenza;
  • Jeannine Dadier, la più giovane tra le quattro, bibliotecaria che vive in un 1969 “parallelo” nel quale non è mai scoppiata la seconda guerra mondiale («Si domandava talvolta se fosse stata una fortuna che Herr Schickelgruber fosse morto nel 1936», con riferimento a Adolf Hitler, il cui padre cambiò cognome nel 1976 per assumere quello che avrebbe fatto rabbrividire d’orrore il mondo); è «alta, magra, sedentaria, spalle tonde, un corpo longilineo fatto di argilla e stucco»; il 1969 “alternativo” di Jeannine si distingue dal nostro tramite dettagli anche sottili: per esempio, il fatto che non vada di moda la minigonna, e Joanna si senta a disagio nella metropolitana perché tutti le guardano le gambe;
  • Alice-Jael Reasoner, compare solo nelle ultime due parti delle nove che compongono il libro; vive in un universo in cui è in corso una guerra tra gli avere e i non-avere, cioè tra maschi e femmine.

La vicenda è raccontata in maniera frammentaria da diversi punti di vista, a volte in terza persona e a volte in prima persona singolare, con frequenti digressioni, soprattutto dal punto-di-vista di Joanna, sull’atteggiamento dell’americano medio nei confronti della situazione femminile negli anni Sessanta, dalla mancanza di indipendenza economica alle disparità sul lavoro ai pregiudizi maschilisti.

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Le città invisibili

(1972)

Italo Calvino

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Delle tre opere più diffuse e conosciute di Italo Calvino, due appartengono al primo periodo (Il barone rampante e Marcovaldo, entrambe usate anche come testi scolastici), il terzo è questo libro originale e inimitabile, la cui gestazione è parallela a Il castello dei destini incrociati.

Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili.

Italo Calvino, discorso alla Columbia University

Le città invisibili è una macchina narrativa perfetta, costruita secondo principi di ars combinatoria che raggiungeranno l’apice nel successivo Castello. «Attraverso questi procedimenti il racconto di un’avventura tende a trasformarsi nell’avventura di un racconto» scrive Claudio Milanini[1], autore anche di un diagramma che illustra in maniera visuale la struttura dell’opera.

Il punto di partenza è Il Milione di Marco Polo.

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