Finzioni

(Ficciones, 1944)

Jorge Luis Borges

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Franco Ricciardiello davanti a un mural di Borges in un ostello della gioventù di Buenos Aires

Questa raccolta di racconti, soprattutto la prima parte che risale al 1941, è tra gli esempi più classici di letteratura postmoderna. La “voce” erudita, intellettuale, con un chiaro tono accademico di Borges è inseparabile, nella sensibilità dei lettori, dall’idea stessa di metanarrativa. Scrive Cesco Vian in Invito alla letteratura di Borges: «Qui è la prima radice concettuale ed estetica di tutti i racconti borgesiani che, essendo essenzialmente metafore o parabole si fondano su un numero limitato di simboli: il labirinto, la biblioteca, le rovine circolari, gli specchi, le tigri…». Suggestivo è questo passaggio di Domenico Porzio[1], dall’Introduzione all’edizione:

Una febbrile concatenazione di notti arabe, di sogni scespiriani e cervantini, di fervori gauceschi, di perplessità filosofiche, di meditazioni sul tempo, sulla storia, sui miti, sugli specchi, su scritture sacre e profane, sull’illusorio ieri, sui ricorsi ciclici, sull’epica, sulla felicità che è fine a se stessa, sull’infinito, sull’immortalità, sull’eternità, sui labirinti, su magici o mostruosi animali, su enciclopedie, sula cabale, costruisce l’indelebile monumento. L’occidente e l’oriente (le loro infinite biblioteche) sono i due  crepuscoli che illuminano e disegnano i pezzi dell’emozionante scacchiera, sulla quale è impressa l’insegna araldica della tigre.

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Storia universale dell’infamia

(Historia universal de la infamia, 1935)

Jorge Luis Borges

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Borges nel 1920

Nella prefazione alla prima edizione, Jorge Luis Borges definisce i racconti che compongono la raccolta (usciti nel supplemento letterario del quotidiano Crítica di Buenos Aires) “esercizi di prosa narrativa” e li fa derivare “da ripetute letture di Stevenson e Chesterton e anche dai primi film di von Sternberg, e forse da una biografia di Evaristo Carriego”. Vuole anche fornire una spiegazione per aspetti narrativi che potrebbero sconcertare qualche lettore:

Essi abusano di certi procedimenti: enumerazioni contrastanti, repentine soluzioni di continuità, riduzione dell’intera vita di un uomo a due o tre scene.

Ancora non esiste una letteratura sul postmoderno, quindi l’autore utilizza nella prefazione all’edizione 1954 una definizione ottocentesca, “barocco”; tuttavia le sue riflessioni non si distanziano dalle caratteristiche che oggi riconosciamo:

Io direi che barocco è lo stile che consapevolmente esaurisce (o vuole esaurire) tutte le proprie possibilità e che confina con la propria caricatura. […] Direi che barocco è il punto terminale di ogni arte, quando questa mette in mostra e dilapida i suoi mezzi. Il barocchismo è intellettuale, e Bernard Shaw ha dichiarato che ogni fatica intellettuale è umoristica. […] Sono il gioco irresponsabile di un timido che non ebbe il coraggio di scrivere racconti e che si divertì a falsificare (talvolta senza alcuna giustificazione estetica) storie altrui.

La raccolta è costruita su sette biografie di personaggi realmente esistiti, che giustamente Borges definisce “infami”.

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