(Los detectives salvajes, 1998)
Roberto Bolaño
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Al contrario di quanto il titolo potrebbe fare immaginare, I detective selvaggi non è un noir , non c’è un’indagine, e nessun mistero da svelare. Tutto ruota intorno a Arturo Belano e Ulises Lima, giovani poeti di Città del Messico che si sono inventati una corrente poetica, il “realismo viscerale” o realvisceralismo, definizione presa in prestito da Cesárea Tinajero, una poetessa (anzi, “una poeta”, come dicono i personaggi nel testo) che aveva pubblicato qualcosa degli anni Venti. Cesárea sembra scomparsa nel nulla nel deserto di Sonora: destino comune agli scrittori di Bolaño, considerato quanto accadrà al misterioso e schivo Benno von Arcimboldi nel successivo, apocalittico 2666.
Il romanzo inizia con le pagine tra il 2 novembre e il 31 dicembre 1975 del diario del giovane poeta Juan García Madero, colto diciassettenne iscritto alla facoltà di Giurisprudenza di Città del Messico, che si ritrova coinvolto nella nascita del movimento poetico realvisceralista; appassionato di poesia, si iscrive anche al seminario di letteratura del borioso Julio César Álamo. Una sera alla riunione si presentano due poeti che si definiscono “realvisceralisti”, il messicano Ulises Lima e il cileno Arturo Belano, che si scontrano con il presuntuoso Álamo. Juan prende la parte dei due e se ne va insieme con loro; i due gli chiedono di entrare a far parte del loro movimento poetico, e viene accettato da tutti gli adepti come un realvisceralista anche se pochi hanno già ascoltato le sue poesie; in particolare viene introdotto a casa delle sorelle Font, dedite al culto della poetessa Laura Damián, morta prima dei vent’anni.
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