La pioniera nuda

(Го́лая пионе́рка, 1991)

Mikhail Kononov

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Čulpan Chamatova nella riduzione teatrale di Kirill Serebrennikov

Pubblicato per la prima volta in Germania nel 1991, questo romanzo di Mikhail Kononov (1948-2009) era stato scritto già nel corso degli anni Ottanta ma aveva collezionato diversi rifiuti dell’editoria sovietica, perché racconta con intento dissacratorio episodi della Seconda Guerra mondiale, che ancora nella Russia post-comunista è conosciuta come Grande guerra patriottica, motivo di orgoglio nazionale.

Féerie bellico-erotica in otto capitoli infuocati con una guerra gagliarda e un fiero assedio, con un amore puro e del sesso lurido, con il fragore degli spari psicopropedeutici a bruciapelo del generale Žukov, e con l’apparizione della Santissima Vergine Maria e gli strategici voli notturni DI UNA PICCOLA PIONIERA COMPLETAMENTE NUDA!

Michail Kononov, Nuda! Mucha la piccola pioniera

Durante la Seconda guerra mondiale la quindicenne Marija Mukhina, detta Maša, giovane pioniera dell’URSS, tiene nascosta la propria età per essere assegnata a un’unità di combattimento sul  fronte di Leningrado. Assediata già da due anni, la città ma continua a resistere.  La ragazzina non combatte solo contro gli invasori, ma anche contro gli ufficiali del reparto, che ogni notte cercano soddisfazione nel suo corpo. Maša nutre un giusto risentimento e anche disprezzo per questi uomini che approfittano di lei; l’unico che non le desti ribrezzo è il tenente Sbruev, anche lui comunque incontrollabile nel suo desiderio di sesso.

Quasi ogni notte Maša riceve visite nella sua branda, ma appena può si addormenta e si trasforma nella Gabbianella. Minuscola e nuda, si alza in volo e percorre tutto il fronte di Leningrado per adempiere una missione affidatale dal generale Žukov, per il quale Maša ha una autentica venerazione.

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Il tamburo di latta

(Die Blechtrommel, 1959)

Günther Grass

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Un fermo immgine dal film che Volker Schlöndorff trasse dal romanzo

Il romanzo d’esordio di Günther Grass (1927-2015), il primo della Trilogia di Danzica (la città dove l’autore nacque), seguito da Gatto e topo (1961) e Anni di cani (1963), è tra i più perfetti esempi di narratore “inaffidabile”. Il protagonista Oskar Matzerath narra infatti la propria vita mentre si trova rinchiuso in manicomio, ma questo si capisce solo dopo i primi capitoli, per cui il lettore non può mai essere sicuro se l’autore sia imparziale o se il suo racconto sia deformato da distanza temporale, malattia mentale, volontà di nascondere o di esagerare particolari.

La vicenda è ambientata nella libera città di Danzica, che nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale era governata da un commissario della Società delle Nazioni. La storia inizia con il racconto dell’incontro a fine ottocento tra Anna e il fuggiasco polacco Joseph Koljaiczek, ricercato per un dissidio con il datore di lavoro. Il protagonista e narratore, Oskar, è nato dalla relazione extramatrimoniale della figlia dei due, Agnes, con il cugino Jan Bronski.

All’età di tre anni Oskar riceve in regalo un tamburo di latta bianco e rosso, dal quale rifiuterà cocciutamente di separarsi per tutta la vita. Per protesta contro il mondo degli adulti, dato che nella sua precocità ha già intuito qualche tipo di relazione tra la madre e Jan, si getta in una botola lasciata aperta Alfred Matzerath, suo padre legale, procurandosi danni fisici.

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Incontro in Egitto

(Moon Tiger, 1987)

Penelope Lively

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Penelope Lively, nata penelope Low (1933- ) è una scrittrice britannica che dopo aver raggiunto il successo con la narrativa per bambini, è passata anche a scrivere anche letteratura generalista. Moon Tiger (in italiano è lo zampirone, l’incenso di piretro che si usa per allontanare le zanzare; questo è uno dei rari casi in cui l’editoria italiana ha fatto bene a tradurre infedelmente il titolo) ha vinto il Booker Prize 1987: appartiene a pieno titolo al filone postmoderno storiografico, radicato soprattutto in Gran Bretagna.

Possiamo perciò pensare al romanzo storico postmoderno come alla “faccia accettabile del postmodernismo” in letteratura, influenzato dalle idee postmoderne di fiction e dalla loro relazione con la realtà, ma anche popolare perché lettura di  massa.

Bran Nicol, The Cambridge introduction to postmodern fiction

Come gli altri autori classificabili nella “metastoriografia postmoderna” britannica, Lively usa la metanarrativa per ricordare al lettore che la storia è costruzione letteraria, non ricostruzione storica, e lo fa annunciando che la sua protagonista si accinge a scrivere una “grande storia del mondo” mentre ciò che porta a termine è il racconto della propria vita.

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Kurt Vonnegut


Kurt Vonnegut (1922-2007), nato negli USA da una famiglia di immigrati tedeschi, è stato autore di testi teatrali, saggi e articoli, scritti autobiografici, e ha firmato una ricca e originale produzione di romanzi e racconti di successo. Testimone nel febbraio 1945, mentre era prigioniero di guerra, della distruzione della città Dresda da parte dell’aviazione alleata, ha tratto da questa esperienza quella propensione per il paradosso, per l’humour nero e per lo scetticismo che caratterizza tutta la sua ricca e originale produzione. Esordì con il romanzo Player piano (1952;

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William T. Vollmann


William Tanner Vollmann nasce a Los Angeles nel 1959 e frequenta le scuole superiori nello stato dell’Indiana, dove il padre è docente di economia all’università. Quando ha nove anni, vede annegare la sorellina di sei anni mentre è sotto la sua supervisione: in seguito sostiene che questo fatto traumatico ha influenzato il suo lavoro di scrittore.

Laureato alla Cornell University, parte per l’Afghanistan per testimoniare la resistenza al governo tenuto in piedi dai sovietici; ne nasce il suo primo libro, Afghanistan Picture Show. Al ritorno negli USA lavora come programmatore di computer e scrive un’opera di fantascienza, You Bright and Risen Angels.

Autore molo prolifico, ha pubblicato scritti di viaggio per il New Yorker, e articoli sulla letteratura nella New York Times Book Review. È autore di un libro di 3.300 pagine pubblicato in 7 volumi, nel quale analizza diverse forme di violenza cercando di discriminare quando sia lecita e quando no: è il risultato di vent’anni di riflessioni per elaborare un “computo morale” sugli effetti della violenza. Una versione dell’opera ridotta a un solo volume è stata pubblicata anche in Italia.

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La vita. Istruzioni per l’uso

(1978)

Georges Perec

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Schema del palazzo dove è ambientato il romanzo, con gli occupanti dei locali (da Wikipedia in francese)

Per sfuggire all’arbitrarietà dell’esistenza, Perec come il suo protagonista ha bisogno d’imporsi delle regole rigorose (anche se queste regole sono a loro volta arbitrarie). Ma il miracolo è che questa poetica che si direbbe artificiosa e meccanica dà come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribili.

Italo Calvino, Lezioni americane

L’esposizione dei motivi narrativi e della struttura serve appena a dare un’idea superficiale del modo in cui il romanzo è pianificato; in realtà questo iper-romanzo è attraversato da motivi letterari, rispecchiamenti, giochi linguistici, coincidenze, simboli che lo rendono un meta-testo difficile da decifrare completamente.

La vita. Istruzioni per l’uso è ambientato in uno stabile della zona residenziale di Parigi, 11 rue Simon-Crubellier, XVII arrondissement: una via che se esistesse taglierebbe a metà il rettangolo delimitato da rue de Chazelles, rue Léon Jost, rue Méderic e rue Jadin. Secondo alcuni, l’autore si sarebbe ispirato nella descrizione dell’edificio al palazzo in cui abitava insieme a amici al n. 16 di rue Charlemagne. Si tratta di un palazzo di dieci piani con dieci vani per ogni piano; nelle parole dell’autore: «Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata […] in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell’edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili». Il romanzo inizia — e finisce, dato che tutte le storie contenute sono divagazioni a partire da questo singolo momento X — qualche minuto prima delle 20 del giorno 23 giugno 1975, cioè pochi attimi dopo il decesso del protagonista nel suo appartamento. Ognuno dei 99 capitoli è ambientata in una diversa stanza, brevemente descritta nello stato in cui si trova nel momento X, e racconta un frammento della vita di chi ci ha vissuto. Siccome le esistenze di molti degli abitanti sono interlacciate, a poco a poco emerge un gigantesco affresco che ruota intorno a un plot affascinante.

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Joseph Heller


Benché abbbia pubblicato altri sei romanzi, oltre a testi teatrali, la fama di Joseph Heller (1923-1999) è irrimediabilmente legata al titolo con il quale esordisce nel 1961, cioè Comma 22, titolo che è addirittura divenuto sinonimo di paradosso logico. Il romanzo nasce dall’esperienza dell’autore, che combatté in Italia durante la seconda guerra mondiale, ed è considerato un classico dell’anti-militarismo.

Heller nasce a New York da genitori ebrei immigrati dalla Russia, e prima di diventare scrittore segue una trafila di apprendistato in lavori manuali che è tipica di diversi intellettuali americani: fattorino, apprendista fabbro, cassiere. Ha solo diciannove anni quando viene inviato sul fronte italiano, nell’aviazione: qui partecipa a 60 missioni di combattimento su bombardieri B-25. Dopo la smobilitazione, si laurea grazie alla legge sulle agevolazioni per i veterani di guerra, e quasi subito insegna composizione all’università statale della Pennsylvania; dopo un breve periodo di lavoro in un’agenzia pubblicitaria, torna all’insegnamento grazie al successo di Comma 22. L’agiatezza arriva nel 1962 grazie ai diritti cinematografici del romanzo (che non sarà tuttavia portato sullo schermo fino al 1970).

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Comma 22

(Catch-22 1961)

Joseph Heller

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Fotogramma dal film del 1970 tratto dal romanzo, regia di Mike Nichols, con Orson Welles, Art Garfunkel, Paula Prentiss, Martin Balsam, Anthony Perkins

Pubblicato nel 1961, e divenuto rapidamente uno dei maggiori classici antimilitaristi di tutti i tempi, Comma 22 è basato in parte sull’esperienza autobiografica dell’autore, che nel corso della seconda guerra mondiale combatté sul fronte italiano come pilota di bombardieri nell’aviazione Usa. La stesura del libro ha una storia lunga e travagliata. Joseph Heller (1923-1999) cominciò a scriverlo nel 1953, sull’onda dell’indignazione per il coinvolgimento nella guerra di Corea, e nel clima di caccia alle streghe del maccartismo. Un’altra probabile ispirazione, a detta dell’autore, è la lettura di Il buon soldato Švejk di Jaroslav Hašek (1923), famoso antesignano della letteratura antimilitarista.

L’azione inizia in un ospedale militare dell’isola di Pianosa, nell’arcipelago toscano, che ospita il 256° squadrone aereo dell’esercito Usa. Siamo nel ’44, la parte meridionale dell’Italia è già stata liberata, mentre al nord i residui del fascismo hanno costituito una Repubblica sociale italiana, fiancheggiatrice della Germania nazista. Il capitano John Yossarian (solo una volta, verso il finale, viene rivelato il suo nome di battesimo) si trova ricoverato nell’ospedale da campo per una patologia che si sospetta studiata apposta per ottenere il congedo: si dichiara destabilizzato dal fatto che ci sia una quantità di gente che gli spara addosso, senza tenere conto del fatto che molti di quelli che a suo dire ce l’avrebbero con lui sono gli addetti alla contraerea tedesca che lo bersagliano durante le missioni di bombardamento.

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W. G. Sebald

Winfried Georg Sebald (1944-2001), nato in Germania, si trasferì definitivamente in Gran Bretagna nel 1970, quando già da quattro anni insegnava all’università di Manchester. Morì in un incidente automobilistico.

L’opera letteraria di Sebald, che scriveva in tedesco (limitandosi a supervisionare la traduzione in inglese) ruota sempre intorno al tema della memoria, sia individuale che collettiva, spesso quella degli anni del nazismo o immediatamente successivi. Caratteristico è l’inserimento di documenti fotografici all’interno del testo, non in funzione illustrativa ma come parte integrante del contenuto. Il suo stile di scrittura è molto classico, e mescola fatti realmente accaduti a pura fiction.

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Curzio Malaparte

Curzio Malaparte, pseudonimo di Curt Erich Suckert (1898-1957) ha attraversato tutta la storia del Novecento europeo, come combattente volontario nella Prima guerra mondiale, come reporter di guerra nella Seconda, e come scrittore e giornalista dal 1919 e fino alla morte.

Aderì al fascismo fino dagli esordi, convinto della necessità di rigenerare l’Italia con una “rivoluzione nazionale”, e come giornalista ne rappresentò l’anima più radicale, il cosiddetto “fascismo di sinistra”. Fu tra i promotori della corrente letteraria Strapaese, che si rifaceva a elementi della tradizione contadina, populista.

A causa della sua attitudine critica, viene espulso dal PNF nel 1933, incarcerato e inviato al confino nell’isola di Lipari. In realtà poté godere di condizioni privilegiate, anche grazie all’amicizia con Galeazzo Ciano.

L’intera opera letteraria di Malaparte rimane «a metà tra scandalo e prosa d’arte ma sempre stabilmente all’interno della mitologia fascista»[i]. Definì se stesso “l’Arcitaliano”, intendendo con questa definizione un concentrato dei pregi e dei difetti degli italiani.

Le sue opere più conosciute sono Viva Caporetto! (1921) e quella che definì “trilogia”, cioè Kaputt (1944), La pelle (1949) e l’incompiuto Il ballo al Kremlino (postumo, 1971).

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