che cos’è il Postmoderno

Parigi, Bibliothèque Nationale de France, foto © Franco Ricciardiello

La parola postmodernisme, che già esisteva in precedenza, è accostata per la prima volta alla letteratura alla fine degli anni Settanta da Jean-François Lyotard in La condizione postmoderna[1], come concetto filosofico per indicare la cultura contemporanea, afflitta dalla «crisi delle grandi narrazioni» (grands récits), cioè gli orizzonti di progresso della Modernità figlia dell’Illuminismo settecentesco. Lyotard definisce “metanarrativa” il pensiero illuminista che struttura l’emancipazione dalla religione, il trionfo della razionalità con lo sviluppo delle scienze, le ideologie egualitarie derivate dagli ideali di liberté, égalité, fraternité. La metanarrativa illuminista è dunque un’ideologia che controlla l’individuo tramite un falso senso di totalità, di universalità. Il soggetto postmoderno al contrario non crede alla metanarrazione; tende piuttosto a riconoscere la retorica insita nella letteratura. Per Lyotard, il postmoderno preferisce i petit récits, la storia con la S minuscola, che non ha pretesa mimetica e non ambisce ad alcuna Verità oggettiva.

Naturalmente il concetto di postmoderno esiste indipendentemente dalle riflessioni di Lyotard; al di fuori della teoria letteraria, Ernest Mandel[2] intende con questa il sistema socio-economico tipico di quello che egli chiama “terzo stadio” dello sviluppo capitalista: nell’ordine, capitalismo di mercato, capitalismo di monopolio o imperialista, infine tardo capitalismo (o capitalismo postindustriale).

Larry McCaffery[3] individua l’essenza del postmoderno non tanto nello sviluppo tecnologico accelerato della seconda parte del XX secolo, quanto nella «rapida proliferazione di “prodotti” della produzione di massa tecnologica, che consistono principalmente in riproduzioni o astrazioni — immagini, pubblicità, informazione, ricordi, stili, esperienze simulate», il tutto molto più economico da ottenere (e da consumare) rispetto a prodotti materiali.

Anche secondo Jean Baudrillard[4], l’umanità è entrata in una nuova fase storica, il postmoderno, caratterizzato dalla scomparsa della struttura simbolica che caratterizzava la civiltà pre-industriale, che consisteva nello scambio di “doni” e, più avanti, di prodotti. La nuova fase è invece caratterizzata dal continuo scambio di segni piuttosto che di beni materiali: immagini, parole, suoni, ancora più immateriali e intangibili del denaro stesso.

È opinione comune prendere, per convenzione, come data di nascita del postmoderno l’assassinio del presidente John Kennedy a Dallas, il 22 novembre 1963, quando l’America avrebbe perduto la propria innocenza; ipotesi suggestiva, che varrebbe comunque solo per il postmoderno americano:

[…] quello fu il giorno che simbolicamente segnò la fine di un certo tipo d’ottimismo e ingenuità nella nostra coscienza collettiva, la fine di certe verità e garanzie che avevano contribuito a formare la nozione di ciò che dovrebbe essere la letteratura.

Larry McCaffery, Postmodern fiction. Bio-bibliographical guide (1986)

Non c’è da stupirsi se con questo “atto di nascita” il postmoderno abbia sviluppato una sensibilità narrativa verso la paranoia che non ha confronti nella letteratura del passato. I suoi stretti legami con lo strutturalismo portano alcuni autori a costruire mondi costretti dentro strutture di dimensione maggiore. Tutti noi, lettori o meno, tentiamo di interpretare il mondo tramite “costruzioni” di senso derivate dalla cultura del tempo e dai mezzi di comunicazione di massa; dal momento che questo è uno dei discorsi caratterizzanti del postmoderno, è naturale che una sovrastruttura misteriosa venga inserita come reale nella  trama. Secondo Patricia Waugh[5], il romanzo postmoderno tende a dimostrare che l’esperienza della realtà avviene sempre con la mediazione di strutture narrative, che con l’enfasi posta sulla teoria dell’informazione possono diventare paranoiche.

La paranoia è la condizione sotto cui la maggior parte della letteratura moderna è generata: l’autore affida al lettore il compito di trovare corrispondenza tra nomi, colori, le caratteristiche fisiche dei personaggi e altre qualità invisibili di protagonisti, luoghi e azioni, e questo nella cosiddetta “vita reale” sarebbe un chiaro indicatore di comportamento paranoico.

Mark Siegel, Creative paranoia: understanding the system of Gravity’s Rainbow

Ma quale sarebbe la principale differenza tra la letteratura moderna e quella post-? Senz’altro va individuata nel concetto di letteratura mimetica, uno dei principali lasciti dell’Illuminismo. Il primo valido criterio per individuare un’opera post-moderna è infatti la presa di distanza dal realismo; l’approccio postmoderno è piuttosto influenzato dallo strutturalismo, nel senso che il significato dell’opera è più attinente alla relazione tra le sue parti che al rapporto con qualcosa di esterno.

Questo fornisce solide fondamenta all’idea di base della letteratura postmoderna, che specifiche parole in un testo significano ciò che significano in relazione con altre parole del testo stesso e con altri testi letterari, piuttosto che in relazione al mondo reale.

Bran Nicol, The Cambridge introduction to postmodern fiction

Ciò non significa che il postmoderno si situi all’opposto del realismo. La definizione inoltre, non equivale automaticamente a letteratura sperimentale; esiste un’ampia gradazione di sperimentazione nei testi di solito associati al postmoderno, e non è certo un elemento essenziale: La lettura di romanzi come Il paese dell’acqua di Graham Swift, Incontro in Egitto di Penelope Lively o i testi di Jorge Luis Borges non comporta alcun impegno intellettuale straordinario. Il postmoderno è interessato alla costruzione della realtà piuttosto che alla sua trascrizione: è in questo senso che è letteratura non mimetica. Non per nulla si parla, a proposito del punto-di-vista, di narratore inaffidabile (unreliable) in quanto, oltre a non riflettere necessariamente il pensiero dell’autore o dell’autrice, l’opinione che il lettore si fa potrebbe contraddire la narrazione del personaggio: non perché menta necessariamente, ma perché la sua narrazione è distorta da qualche elemento; per esempio l’età del protagonista, il coinvolgimento emotivo, il desiderio di mascherare particolari poco edificanti, la salute mentale etc. Una volta abbandonate le pretese di mimetismo, di riproduzione della realtà, gli autori e le autrici si accorgono del potere insito nel linguaggio, il cui potenziale simbolico è così forte da attirare l’attenzione su di sé ancora più del reale.

La funzione del racconto non è di «rappresentare» ma è quella di costituire uno spettacolo che ci resta ancora assai enigmatico, ma che non può essere di ordine mimetico; la «realtà» d’una sequenza non risiede nella serie «naturale» delle azioni che la compongono, ma nella logica che vi si espone,

Roland Barthes, Image-Music-Text

È Linda Hutcheon[6] a mettere poi l’accento su quella rete di rimandi, riferimenti e citazioni che si irradia dal testo, e che lei chiama double coding: una sorta di “gioco” erudito che una volta di più giustifica l’essenza del postmoderno in riferimento a altri testi piuttosto che al mondo esterno.

Per Brian McHale la fondamentale differenza tra modernismo e postmoderno risiede nel carattere dominante, che sarebbe di natura epistemologica nel primo caso e ontologica nel secondo:

La letteratura modernista mette in pratica strategie che implicano e portano in primo piano domande del genere: “Come posso interpretare questo mondo del quale sono parte? E dentro cosa mi trovo? Cosa c’è da sapere? Chi è che conosce il mondo? Come fa a conoscerlo, e con quale grado di affidabilità? Come si trasmette questa conoscenza da chi sa agli altri, e con quale grado di affidabilità? Come cambia l’oggetto della conoscenza nel passaggio dall’uno all’altro? Quali sono i limiti del conoscibile? E così via […]  La letteratura postmoderna  mette in pratica strategie che implicano e portano in primo domande del genere: “Che mondo è questo?”, “Cosa occorre fare nel mondo in cui mi trovo?” “Quale dei miei io è chiamato a farlo?”. Altre domande tipiche postmoderne insistono sul carattere ontologico del testo letterario o sull’ontologia del mondo che esso progetta di costruire, per esempio: che cos’è un mondo? Che cosa lo costituisce ? Esistono mondi alternativi, e se esistono, come sono costituiti, e in cosa differiscono? Cosa accade quando differenti tipi di mondo vengono posti a confronto, o quando si passa da un mondo all’altro?

Brian McHale, Postmodernist fiction, Routledge 1987

McHale individua anche due generi letterari che esemplificano questa interpretazione. Il genere epistemologico per eccellenza sarebbe la detective fiction, il poliziesco di indagine, la cui lettura risponde precisamente alle domande-tipo della letteratura modernista. Chi è l’assassino? In che modo ha ucciso? Per contraltare, il “giallo postmoderno” è quello che pone altre domande: c’è davvero stato un delitto? per esempio; si veda la detective fiction metafisica di Borges, Eco, Robbe-Grillet, Auster.

D’altro canto, il genere ontologico par excellence è la fantascienza, che per sua natura mette a confronto mondi differenti. Ovviamente questo è vero per qualsiasi lavoro di fiction, anche per la letteratura realista — ma in questo caso il romanzo moderno tende a sopprimere il contenuto ontologico per aumentare l’effetto mimetico. È questa la ragione per cui l’immaginario di fantascienza costituisce una miniera alla quale attingono molti autori postmoderni, come (cita McHale) Samuel Beckett, William Burroughs, Vladimir Nabokov, Thomas Pynchon, Kurt Vonnegut, ai quali aggiungerei Angela Carter, Doris Lessing, Antoine Volodine, Lidia Yuknavitch.

È per lo stesso motivo che autori di science fiction si avvalgono di tecniche narrative tipiche del postmoderno: Octavia Butler, Jeff Noon, Joanna Russ, Robert Sheckley, Neal Stephenson.

Susan Sontag[7] sottolinea un aspetto evidente, cioè il fatto che il postmoderno (in questo caso in senso ampio, non solo letterario) metta l’accento sulla forma piuttosto che sul contenuto.

Franco Ricciardiello

Note

[1] Jean François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (La condition postmoderne: rapport sur le savoir, 1979), traduzione di C.Formenti, Feltrinelli 2014

[2] Ernest Mandel, Late Capitalism, New Left Books 1975

[3] Larry McCaffery, Storming the reality studio: a casebook of cyberpunk and postmodern science-fiction, Duke University Press 1991

[4] Nicholas Zurbrugg, Jean Baudrillard: art and artefact, Sage 1994

[5] Patricia Waugh, Metafiction: the theory and practice of self-conscious fiction, Routledge 1984

[6] Linda Hutcheon, A poetics of Postmodernism, Routledge 1988

[7] Susan Sontag, ibid.