Finzioni

(Ficciones, 1944)

Jorge Luis Borges

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Franco Ricciardiello davanti a un mural di Borges in un ostello della gioventù di Buenos Aires

Questa raccolta di racconti, soprattutto la prima parte che risale al 1941, è tra gli esempi più classici di letteratura postmoderna. La “voce” erudita, intellettuale, con un chiaro tono accademico di Borges è inseparabile, nella sensibilità dei lettori, dall’idea stessa di metanarrativa. Scrive Cesco Vian in Invito alla letteratura di Borges: «Qui è la prima radice concettuale ed estetica di tutti i racconti borgesiani che, essendo essenzialmente metafore o parabole si fondano su un numero limitato di simboli: il labirinto, la biblioteca, le rovine circolari, gli specchi, le tigri…». Suggestivo è questo passaggio di Domenico Porzio[1], dall’Introduzione all’edizione:

Una febbrile concatenazione di notti arabe, di sogni scespiriani e cervantini, di fervori gauceschi, di perplessità filosofiche, di meditazioni sul tempo, sulla storia, sui miti, sugli specchi, su scritture sacre e profane, sull’illusorio ieri, sui ricorsi ciclici, sull’epica, sulla felicità che è fine a se stessa, sull’infinito, sull’immortalità, sull’eternità, sui labirinti, su magici o mostruosi animali, su enciclopedie, sula cabale, costruisce l’indelebile monumento. L’occidente e l’oriente (le loro infinite biblioteche) sono i due  crepuscoli che illuminano e disegnano i pezzi dell’emozionante scacchiera, sulla quale è impressa l’insegna araldica della tigre.

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Danilo Kiš


Danilo Kiš (1935-1989) è tra gli scrittori serbi più conosciuti all’estero, da madre cattolica del Montenegro e padre ebreo: il trauma della morte violenta di quest’ultimo, deportato a Auschwitz, sarà centrale nella narrativa di Kiš, soprattutto nel trittico della famiglia Sam che racconta in maniera anche trasfigurata dettagli autobiografici. Esordì come scrittore a 27 anni di età e trascorse quasi tutta la vita in Francia, dove sarà insegnerà lingua serbo-croata a Strasburgo (è qui che scrive Giardino, cenere), Bordeaux e Lille. Amareggiato per le accuse di plagio ricevute dalla nomenklatura letteraria in patria, trascorre gli ultimi dieci anni a Parigi, dove muore di cancro.

La maggiore influenza sulla scrittura di Danilo Kiš è forse quella esercitata da Borges, e in secondo luogo dallo scrittore ebreo polacco Bruno Schulz, assassinato nel 1942. L’autore stesso descrisse la seconda parte della propria opera, a partire da Clessidra, come periodo post-Borges, ma occorre notare che, a differenza dello scrittore argentino, il materiale su cui lavora Kiš è «politicamente e storicamente rilevante».

In primo luogo la maggior parte delle trame nella sua opera sono derivate o prese in prestito da fonti già esistenti di varia rilevanza letteraria, alcune facilmente riconoscibili, ad esempio quelle estratte da Roj Medvedev e Karlo Štainer, mentre altre sono più oscure. In secondo luogo, Kiš utilizza la tecnica della trasposizione testuale, in base alla quale intere sezioni o serie di frammenti, spesso inalterati, sono tratti da altri testi e integrati liberamente nel tessuto della sua opera.

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