Female Man

(The Female Man, 1975)

Joanna Russ

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La scrittrice statunitense di fantascienza Joanna Russ (1937-2011) pubblica a metà anni Settanta, un decennio che si può definire cruciale per la science-fiction femminista, questo romanzo che sfrutta uno dei tópoi più interessanti del genere: gli universi paralleli, la cui prima teorizzazione scientifica, la MWI (Many Worlds Interpretation) risale al 1957 per opera del fisico Hugh Everett III. Female Man è probabilmente tra le opere che ebbero maggiore influenza sul movimento femminista, non soltanto tra i lettori di fantascienza.

La storia è ambientata nel 1969 e intreccia le vicende di quattro protagoniste:

  • Joanna, che vive nel nostro mondo ed ha caratteristiche apertamente autobiografiche; è «attiva, […] veloce e scattante, non depressa, siede con la schiena dritta come un righello»; Joanna riconosce che il suo stile di narrazione è tipicamente femminile: «Non possiedo struttura… i miei pensieri escono senza forma come il fluido mestruale, è tutto molto femminile, profondo e pieno di essenza, è molto primitivo e pieno di “e”, si chiama “frasi sconnesse”»; a un certo punto definisce sé stessa “uomo femmina” perché vede nella perdita delle proprie specificità femminili l’unica via di affermazione in una società creata a misura del maschio;
  • Janet Evason, cittadina del pianeta Whileaway che in realtà è la Terra mille anni nel futuro da oggi, abitata solo da esseri di sesso femminile perché i maschi sono stati sterminati nove secoli prima da una pestilenza;
  • Jeannine Dadier, la più giovane tra le quattro, bibliotecaria che vive in un 1969 “parallelo” nel quale non è mai scoppiata la seconda guerra mondiale («Si domandava talvolta se fosse stata una fortuna che Herr Schickelgruber fosse morto nel 1936», con riferimento a Adolf Hitler, il cui padre cambiò cognome nel 1976 per assumere quello che avrebbe fatto rabbrividire d’orrore il mondo); è «alta, magra, sedentaria, spalle tonde, un corpo longilineo fatto di argilla e stucco»; il 1969 “alternativo” di Jeannine si distingue dal nostro tramite dettagli anche sottili: per esempio, il fatto che non vada di moda la minigonna, e Joanna si senta a disagio nella metropolitana perché tutti le guardano le gambe;
  • Alice-Jael Reasoner, compare solo nelle ultime due parti delle nove che compongono il libro; vive in un universo in cui è in corso una guerra tra gli avere e i non-avere, cioè tra maschi e femmine.

La vicenda è raccontata in maniera frammentaria da diversi punti di vista, a volte in terza persona e a volte in prima persona singolare, con frequenti digressioni, soprattutto dal punto-di-vista di Joanna, sull’atteggiamento dell’americano medio nei confronti della situazione femminile negli anni Sessanta, dalla mancanza di indipendenza economica alle disparità sul lavoro ai pregiudizi maschilisti.

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Il libro di Joan

(The Book of Joan, 2018)

Lidia Yuknavitch

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Immagine dal booktrailer creato da Andy Mingo

In questo romanzo pirotecnico, sconclusionato, sconcertante la scrittrice statunitense Lidia Yuknavitch (1963- ) rinnova materiale tratto dalla storia e dall’epica in una cornice science-fiction: innanzitutto, una rivisitazione in chiave libertaria del mito di Giovanna d’Arco, più richiami diretti alla scrittrice medioevale Christine de Pizan, al film Il dottor Živago di David Lean e a Shakespeare, nonché al Roman de la Rose di Jean de Meung. La storia è ambientata in un futuro non troppo lontano, dopo che una catastrofe conosciuta come geocataclisma si è abbattuta sull’umanità. Nel 2049 i supersiti più ricchi si sono rifugiati in una città artificiale in orbita, Ciel, governata con pugno di ferro da Jean de Men, figura «pseudomessianica» che ha iniziato la propria ascesa politica come star dei media, diventando figura culturale di primo piano prima che dittatore:

Quando i media diventarono uno spazio che si manifestava nelle nostre case, Jean de Men si impossessò delle nostre vite, organizzando le sue esibizioni in forma sempre più violenta. Che parabola, la sua! Da opportunistico uomo di spettacolo a celebrità amatissima, a miliardario, a promotore di un potere fascista.

Per questa ragione l’ardine sociale su Ciel è «fondato interamente sulla rappresentazione.» La protagonista, Christine Pizan, è una donna al penultimo anno di vita: raggiunti i cinquanta anni infatti gli abitanti di Ciel vengono invariabilmente soppressi e i loro corpi riciclati in modo da ricavarne sostanze vitali per i superstiti, soprattutto acqua. Christine è una scrittrice, ma non nel modo che possiamo intendere oggi; in questo futuro concentrazionario, le opere di letteratura vengono incise direttamente sulla pelle tramite innesti cutanei, tatuaggi scarificanti praticati mediante bruciature o piccoli impulsi elettrici. Accumulandosi uno sull’altro, gli innesti arrivano a cambiare completamente l’aspetto dei superstiti:

Gli innesti erano racconti di pelle: lontani discendenti dei tatuaggi, cugini spuri dell’alfabeto Braille. Non passò molto e dall’aspetto della pelle si poteva stabilire il valore e la classe sociale di una persona. I più ricchi fra noi avevano la pelle come un vasto e gonfio palinsesto di carne: innesti su innesti, profondi come bruciature di terzo grado, che rimarginando davano luogo a ricci e creste e sporgenze bianco su bianco. Bisognava guardare in faccia qualcuno per almeno un minuto prima di trovare le pozze in cui dovevano essere gli occhi, il buco dove ancora resisteva la bocca. I volti erano come bianche pile di centrini d’epoca medioevale.

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La città e la città

(The City and the City, 2009)

China Miéville

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David Morrissey e Mandeep Dhillon nella fiction tv che la BBC ha tratto dal romanzo

Nel suo secolo abbondante di vita, la fantascienza non ha raccontato solo extraterrestri, astronavi, robot e viaggi nel tempo; fino dai suoi albori come genere letterario, al centro del suo immaginario c’è stata anche la Città.

La città è il centro propulsore della seconda rivoluzione industriale, il luogo dove la tecnica si dispiega con tutta la forza, dove la scienza trova laboratori, cervelli, centri di ricerca, dove sorgono fabbriche e si concentra la manodopera, dove il denaro si forma e si moltiplica. La città sembrava, alle generazioni di inizio Novecento, una porta su un magnifico futuro di progresso.

In La città e la città lo scrittore britannico China Miéville descrive una delle città più incredibili della letteratura fantastica; forma letteraria a parte (il romanzo è un thriller alla Raymond Chandler), l’autore fa della sua doppia città/città gemella un autentico, sorprendente protagonista, una delle più originali invenzioni del postmoderno.

La storia è ambientata in due immaginarie città dell’Europa dell’Est — situate probabilmente nei Balcani[i] — Besźel e Ul Qoma, che condividono letteralmente lo stesso territorio, pur essendo due città-stato separate. Le vie, gli spazi, gli edifici sono rigorosamente divisi tra aree totali, cioè appartenenti all’una o all’altra, e alcune zone intersezionali (in originale crosshatched) dove le due città coesistono, sebbene i cittadini dell’una e dell’altra non possano avere contatti.

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China Miéville

Lo scrittore britannico China Miéville (1972- ), che è anche fumettista e critico letterario, è conosciuto per le sue opere nel campo del fantastico, dal fantasy al new weird anche se la sua opera più premiata, La città e la città, è più propriamente fantascientifica. Dopo un’esperienza lavorativa giovanile in Egitto, durante la quale si interessa di politica mediorientale. Laureato in antropologia sociale e con un master in scienze politiche, è dichiaratamente marxista. Ha militato nel partito Left Unity, fondato nel 2015 dal regista Ken Loach, ed è noto per le sue posizioni critiche nei confronti di Il signore degli anelli  di Tolkien, sia dal punto di vista artistico che politico.

La sua opera critica all’interno del new weird è infatti rivolta a una rivisitazione radicale del fantasy, in contrapposizione ai canoni artistici degli epigoni di Tolkien. La sua scrittura è stata classificata anche all’interno dell’urban fantasy.

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